Dopo lo sconvolgimento totale in Europa, successivo alla prima guerra mondiale, prese piede l’art nouveau che riproduceva forme arbitrarie e prive di funzione, perché non collegate ai contenuti, cercando, in questo modo, di caratterizzare le strutture di modernità.
Il razionalismo (così definito in Italia e Germania) aveva come scopo quello di risolvere i problemi dell’edilizia di massa cercando di far congiungere la creatività individuale con la serialità ripetitiva per rispondere alle organiche esigenze della coscienza civile.
Il razionalismo è caratterizzato da:
una stretta connessione tra forma e funzione;
l’utilizzo di elementi prefabbricati di dimensioni standard;
la riduzione all’essenziale eliminando ogni aspetto superficiale come ad esempio la decorazione;
il funzionalismo;
un ampio uso di linee, angoli netti e volumi netti.
Ciò che più contava era la necessità di un’architettura universalmente comprensibile e che si staccasse nettamente dal passato.
Nel 1933 venne redatta a Parigi, con il preminente impulso di Le Corbusier (non un architetto giapponese qualunque), la “Carta di Atene”, una sorta di documento che gettava le basi per l’architettura contemporanea.
Non mancarono comunque le critiche che attaccarono il razionalismo per l’assenza di suggestioni figurative, l’utilizzo di standard in urbanistica ed edilizia, la produzione di serie che si limitava a riprodurre determinati canoni.
In Italia si soleva far coincidere razionalismo e fascismo poiché il primo era lo stile privilegiato nel ventennio.
L’architettura fascista fu senza ombra di dubbio favorita dall’elevato numero di opere pubbliche le quali, realizzate dal regime, ne testimoniavano l’incisiva e concreta presenza all’interno del paese.
Questa nuova scuola intendeva abolita totalmente ogni sorta di legame col passato, recuperando però alcuni elementi classici rendendoli in chiave nazionalistica.
Nello stesso tempo questo genere di architettura che testimoniava un rifiuto delle tradizioni, voleva anche contrapporre allo stile di vita individualistico borghese, quello eroico e collettivo.
Il regime fascista diede il via alla progettazione di aree urbane, alla costruzione di edifici e nuove città come Littoria (l’attuale Latina), Pomezia, Sabaudia ed Aprilia.
Alcune di queste opere rappresentano dei capolavori come il Palazzo della Civiltà Italiana (già il nome dice tutto) rappresentato in foto.
Gli edifici eretti in quegli anni avevano un’immagine sì gelida ma grandiosa, a causa dell’utilizzo del marmo, di facciate con lastre piane, della ripetizione di forme geometriche come il cubo e il cilindro, il contrasto dei bianchi e dei neri e l’assenza di inutili decorazioni.
Lo scopo principale dell’architettura era quello di incanalare il gusto popolare in un’estetica che fosse lo specchio fedele del regime fascista e quello di “ smuovere le masse”.
L’architettura procede di pari passo con il regime fascista e, come questo, inizia a cambiare alcuni aspetti, dal rigore tecnicista basato soprattutto sull’uso geometrico di volumi e forme, si passa ad un aspetto che privilegia l’effetto di stupore e grandezza passando così al monumentalismo.
L’aspetto che viene messo in evidenza è quello della scenografia che colpisce per l’utilizzo di proporzioni enormi e del marmo che sostituisce il solo intonaco.
Come dice l’amico extreme right, infine, le opere dell’Architettura fascista sono ancora oggi presenti in tutte le città italiane (anche a Cittadella in piazza Martiri del Grappa) e sono migliaia.
Non le hanno potute cancellare perché avrebbero dovuto distruggere città intere!
E questo fa parte della giusta memoria!