LE DUE VELOCITA'


SI PARLA DI POLITICA, NAZIONALE O LOCALE, IN
MANIERA SATIRICA O SERIOSA.
SI CERCA DI NON
OFFENDERE NESSUNO E SE CAPITA CE NE SCUSIAMO SIN DA SUBITO.

OGNI VOSTRO COMMENTO E' GRADITO.

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mercoledì 14 gennaio 2009

DORMIAMO TRANQUILLI... SIAMO NOI I BUONI!


Chiudo le pagine del quotidiano e per un attimo mi assale un dubbio: ma chi sono i buoni?
La fredda contabilità della guerra parla di più di mille morti nella Striscia: civili, miliziani, ma in fondo è difficile fare una distinzione perché contro truppe, aerei, elicotteri e carri armati israeliani, non si è battuto un esercito regolare bensì chi, in un popolo afflitto dalle privazioni dell’embargo, ha avuto la forza di farlo, ritrovandosi poi più che altro impegnato a scavare tra le macerie in cerca di vittime.
Eppure è stata Hamas a violare la tregua coi lanci di missili da Gaza verso le città israeliane, motivo per cui la reazione di Gerusalemme andrebbe giustificata, e di certo quest’ultima non ha colpa se, nel tentativo di annichilire gli integralisti, colpisce dei civili, dal momento che i primi si mescolano tra le case e le vie di Gaza con i cittadini innocenti: sappiamo bene che la tragicità di ogni conflitto sta proprio nelle sofferenze che devono patire popolazioni che, delle guerre volute dai rispettivi rappresentanti governativi, il più delle volte farebbero volentieri a meno. In questo caso però il dubbio torna: e se civili e integralisti fossero le stesse persone, o comunque vivessero sotto gli stessi tetti per veri legami di sangue? Allora la scelta di rompere la tregua sarebbe una follia, un’inspiegabile forma di autolesionismo collettivo dettata da quel fondamentalismo islamico che alimenta le organizzazioni terroristiche che scuotono il mondo in nome della jihad.
Esiste però un’altra giustificazione ad un simile azzardo: la disperazione.
Sì perché stiamo parlando di un popolo, quello palestinese, sempre più stremato dalla mancanza dei più basilari mezzi di sopravvivenza imposta dall’embargo.
Non dimentichiamoci delle immagini che, solo qualche mese fa, ci hanno mostrato la gente abbattere le alte pareti del muro eretto attorno a questo territorio, alla ricerca di generi di prima necessità; la stessa gente che anche oggi cerca una via di fuga scavando tunnel verso l’Egitto; la stessa gente che, con ogni probabilità allora, è disposta a rompere una tregua contro un nemico più forte e più influente, non in virtù dell’ideologia, ma della sopravvivenza: in fondo chi non preferirebbe morire combattendo per il proprio diritto di esistere, nel momento in cui l’alternativa fosse morire di fame, sete o freddo?
Probabilmente anche in virtù di simili considerazioni, oggi Ban ki-moon, attuale segretario dell’ONU, colpevole di avere fatto dietrofront dopo un timido tentativo di intervento, ha affermato che la reazione israeliana è stata “eccessiva”, ma è allora doveroso chiedersi per quale motivo non sia stata fermata, o per lo meno mitigata, se ha suscitato lo sdegno anche delle Nazioni Unite.
Non si è alzato un coro di voci a chiedere il “cessate il fuoco” se non da qualche manifestazione di piazza: la maggioranza del mondo politico sembra essere rimasta a guardare, e anzi numerosi leader occidentali, così come il più dei politici italiani, sono arrivati a propagandare, attraverso televisioni e giornali, il dovere di sostenere Israele in questa sua battaglia per il diritto di esistere.
Eppure sembrerebbe che fosse la sopravvivenza dei palestinesi ad essere messa maggiormente a repentaglio, stando alle notizie che giungono fino a noi, confidando sempre che non vengano prima opportunamente “filtrate” per ridimensionare la portata degli attacchi inflitti da Israele.
Sarà pure il solito ritornello, ma considerato quello che sta accadendo e vista la reazione del mondo, come non ci si può chiedere, ancora una volta, fin dove arrivino i tentacoli di quelle lobby di potere economico e politico che fanno capo a Gerusalemme?
E come non riflettere sulla verosimile influenza che queste possono avere nelle scelte della politica internazionale?
Va considerato poi un ultimo aspetto, in parte già accennato in precedenza: il sodalizio tra Stati Uniti e Israele è inattaccabile, il mondo occidentale, Italia compresa, non sembra comunque voler trovare il coraggio di remare, se necessario, contro il binomio Washington-Gerusalemme, e l’ONU, la più importante delle organizzazioni internazionali, sembra soffrire della stessa malattia, tutto questo dichiarazioni a parte (tanto “verba volant”).
Detto ciò diventa più facile capire con quanta facilità la forza del fronte “pro-Israele”, sia stata in grado di garantire carta bianca nell’operazione Piombo Fuso.
Notizie dell’ultima ora affermerebbero che Hamas ha accettato una tregua: se è vero che di solito cede il cattivo allora abbiamo vinto, siamo noi i buoni…e quindi possiamo dormire tranquilli.

PM81

SPECCHIETTI PER LE ALLODOLE...


Ma la Lega lo vuole il Federalismo?
O per la Lega il termine federalismo è uno specchietto per le allodole...
Un modo di dire per ottenere voti?
E che federalismo vuole la Lega? Ma non solo la Lega, di che federalismo parliamo?
Pubblichiamo, a questo proposito, un articolo di un nostro nuovo collaboratore:
"Stavo immaginandomi una scena più o meno evangelica.
Una folla multiforme, disordinatamente variegata, scomposta in ordine sparso… un'orda infamante immersa in un'ondata di turpiloquio nauseabondo intenta nell'attività che più le si addice: condannare!
E lì, davanti, sommessamente silente in attesa di giudizio, lei… l'adultera: il federalismo!
Adultera, certo.
Corteggiata dai più, ma incapace di un rapporto stabile. - Continuo con l'immaginazione.
Alla voce "chi non ha mai adulterato con essa, avendola sempre rispettata ed onorata, scagli la prima pietra", mi sarei aspettato di veder volare un macigno lanciato da un singolare personaggio di nome Lega, ritenendolo senza peccato e stabilmente sposato con essa.
Ma invece, nulla… nemmeno un sassolino.
E poi, il deluso congedarsi della folla…
Vedete, c'è un tarlo nella mente, che mi assilla ormai da un po' di tempo, che sono riuscito ad isolare ed individuare, ed è questo: c'è qualcuno che veramente vuole sto benedetto federalismo???
Per quanto mi sforzi, non trovo risposta affermativa!
Ma forse ho in testa un po' di confusione: federalismo politico, amministrativo, fiscale, devolution…. Mah.
Allora ho cercato di vedere ed analizzare la cosa dal punto di vista di chi, al momento, si trova in prima linea, e nell'affrontare le quotidiane increspature del rapporto pubblica amministrazione-cittadino, si trova in trincea al fronte: il Comune.
Ormai è noto ai più che il federalismo è quella "dottrina politica di matrice illuministica (sec. XVIII) che rifiuta la separazione tra gli stati e ne propone la federazione" (Encicl. "Le Garzantine").
In Italia, già fin dal 1945 al federalismo si sono ispirati alcuni movimenti autonomisti attivi, e con più determinazione, a partire dagli anni '80, la Lega Nord. Nella sua accezione più magistrale, ovvero quella politico-istituzionale, il federalismo trasfonde le sue peculiarità operative nel c.d. federalismo amministrativo (inteso quale trasferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e mezzi finanziari della pubblica amministrazione centrale), e nel federalismo fiscale (inteso quale principio ordinatore del sistema tributario in base al quale i governi locali decidono, almeno in parte, la misura della pressione fiscale nel proprio territorio e ne percepiscono il gettito).
Con il termine devoluzione (devolution), invero, adottata dalla Gran Bretagna nei confronti della Scozia, si indica il trasferimento di poteri dallo stato centrale alle autorità locali, al fine di accrescerne l'autonomia decisionale (nel 2001, il governo Berlusconi aveva istituito il Ministero senza portafoglio "per le riforme istituzionali e la devoluzione" assegnandolo a Bossi).
A qualunque di questi concetti io faccia riferimento, fatico a scorgere, nel nostro paese, risvolti operativi ed applicativi di una qualsivoglia forma di decentramento.
Il dubbio che sempre più mi assale, ma che al contempo lascia sempre più spazio ad una fastidiosa certezza, è che, in realtà, il federalismo nessuno lo vuole, nemmeno la Lega.
Perché? Boh!
Forse per paura di una perdita di potere ed autorità da parte dello Stato.
E' vero che nel 2001, con la legge costituzionale n. 3, che ha portato una sostanziale rivisitazione del titolo V della Costituzione, nell'opera di strutturazione del federalismo è stato posta una pietra miliare, ma è altrettanto vero che i problemi applicativi ancora aperti sono moltissimi e che, ad onor del vero, qualche passo indietro è stato fatto.
L'art. 114 Cost., come riformulato dalla L. Cost. 3/2001, definisce, nella sostanza, l'Italia dei comuni: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Provincie, le Città Metropolitane e le Regioni son enti autonomi […]".
L'elencazione di ciò che costituisce la Repubblica parte proprio dai Comuni.
E ciò non è un caso.
E' l'amministrazione pubblica più vicina al cittadino.
Senza scendere nel tecnicismo ed in disquisizioni accademiche e dottrinali su come questa riforma abbia inciso il rapporto tra le fonti del diritto, ed il rapporto tra la potestà legislativa statale e quella regionale, si può sostenere che il legislatore costituzionale ha proprio gettato le basi per il federalismo politico-istituzionale (art. 114 Cost. sopra riportato), per il federalismo amministrativo (art. 118 Cost.
"Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni […]" ), e per il federalismo fiscale e finanziario (art. 119 Cost. "I Comuni, le Provincie, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa").
Ma a queste solide basi (sono basi costituzionali!) non sono seguite altrettanto solide politiche federaliste.
Anzi.
Spesso sono stati fatti passi in senso opposto. Vediamo quali.
Le entrate comunali si dividono in due grandi categorie, quelle proprie e quelle derivate. Quelle proprie dipendono dalla capacità di reperire risorse (o con l'imposizione fiscale: ICI, tassa occupazioni spazi pubblici, imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni; o con l'erogazione di servizi a domanda individuale: palestre, impianti sportivi…); quelle derivate, derivano (appunto) dai trasferimenti erogati dallo Stato centrale. Maggiori sono le entrate proprie, in percentuale sul totale delle entrate, maggiore è l'autonomia finanziaria del Comune. Ebbene. Fino al 2007, ogni Comune degli 8.100 d'Italia, poteva contare sulla compartecipazione IRPEF di una certa entità; ovvero una quota parte dell'IRPEF che lo Stato preleva sulla base imponibile del territorio comunale, torna alle casse comunali. Questa quota parte, fino al 2006 ammontava circa al 7%, dal 2007 circa allo 0,7%. Questo minor importo è stato compensato con un maggior trasferimento erariale. Poco male, mi direte, visto che per il bilancio comunale non cambia nulla. Poco male, certo, se non fosse che con la compartecipazione IRPEF si "agganciano" le entrate comunali alla capacità di produrre reddito dei cittadini di quel comune, mentre con i trasferimenti erariali, ogni legame tra la ricchezza prodotta in un certo comune, ed il comune stesso viene meno. Con la compartecipazione, una parte delle tasse prelevate in un determinato territorio, torna a quel territorio; con il trasferimento erariale, no! Ridurre la compartecipazione, compensandola con trasferimenti erariali, pertanto controllati dal governo centrale, è una scelta federalista?
Ma veniamo all'ICI. Una delle prime cose fatte dall'attuale governo è stata quella di abolire l'ICI sulla prima casa. Benissimo. Ma conoscete la continuazione della storia? Questo era solo il primo tempo. Il secondo è così. Il minor gettito ICI certificato uesto eQueo da ogni comune, viene compensato con maggiori trasferimenti erariali.
Ebbene. Abolire l'ICI (tributo locale), compensandola con trasferimenti erariali (governo centrale), è una scelta federalista? Probabilmente qualcuno mi starà accusando di non voler diminuire la pressione fiscale.
Ma questo qualcuno rifletta: per le casse comunali non cambia quasi nulla: invece di incassare a titolo di ICI, il comune incassa come trasferimento. I soldi che lo stato eroga come trasferimento derivano dall'imposizione fiscale di tutto il territorio nazionale. Ciò significa che i soldi che prima i cittadini del Comune di Mira pagavano come ICI, ora non li pagano più, in quanto la stessa somma viene pagata da tutti i cittadini italiani, ma allo stesso modo, i cittadini di Cittadella, pagheranno il minor gettito ICI dei cittadini di tutti gli altri comuni d'Italia… ogni riferimento al territorio viene perso!
Pensiamo anche ai vincoli che lo stato impone ad ogni Comune, ai fini del rispetto del patto di stabilità, sulla spesa (un paio d'anni fa, anche su singole voci di spesa). Dov'è l'autonomia di bilancio? Il governo Prodi aveva previsto, quale sanzione per i comuni che non avessero rispettato il patto di stabilità, l'aumento dell'addizionale comunale IRPEF per i cittadini di quel comune. Pur essendo discutibile il principio secondo cui le conseguenze della mala gestione degli amministratori locali venissero fatte ricadere sui cittadini, era federalista il principio di responsabilizzare gli amministratori agli occhi dei propri cittadini.
L'attuale governo, ha cambiato il sistema di sanzioni, imponendo controlli e stringenti vincoli di spesa che di fatto elidono l'autonomia finanziaria del comune… Che strano… non dico sia stato più federalista il governo Prodi rispetto all'attuale, ma se non altro, il dubbio si insinua.
Sto federalismo è corteggiato da più parti politiche, ma sembra che nessuno sia in grado di stabilirci un rapporto stabile e duraturo. Vedremo con il nuovo codice delle autonomie locali cosa accadrà…
Lega, se ci sei, batti un colpo!"
IL PRINCIPE

venerdì 9 gennaio 2009

CIAK... AZIONE!


"CREDO NELLE IDEE CHE DIVENTANO AZIONI"
Ezra Pound
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Il Circolo di Cittadella, comunica la chiusura della campagna tesseramenti di Alleanza Nazionale verso il Popolo della Libertà registrando l’eclatante riunione di 120 persone, unitesi al gruppo storico, rappresentanti tutte le categorie sociali della collettività Cittadellese.
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Molti e nuovi amici, si sono proposti di far parte della comunità di Alleanza Nazionale di Cittadella, convinti che il progetto politico e, soprattutto l’attivismo che contraddistinguono il nostro gruppo rappresentino un momento di novità sostanziale nella cultura cittadina, dato anche il continuo e fervente interessamento alla quotidianeità delle questioni amministrative dimostrato in questi ultimi anni.
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In questo momento di ulteriore avvicinamento ai Cittadini, ci siamo resi conto che a livello locale c’è un positivo desiderio di rinnovamento delle persone che caratterizzano le forze politiche che confluiranno nel Popolo delle Libertà e, siamo pronti a garantire che a Cittadella il Popolo delle Libertà nasca nel segno del cambiamento delle idee, delle proposte e, soprattutto, dei rappresentanti.
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Considerando, quindi, che Alleanza Nazionale sta volgendo convintamente nel nuovo soggetto politico costituente, ci sentiamo pronti e maturi a dare concreta trasformazione delle idee in azioni.
Il nostro percorso verso il Popolo delle Libertà, a questo punto, prosegue alla ricerca di interlocutori realmente interessati alle esigenze del Cittadino e pronti a rendersi utili al proprio Paese, mentre chi fino ad oggi si è adoperato solo in una scellerata lotta amministrativa nei confronti dell’Amministrazione comunale, priva di qualsiasi proposta seria ed alternativa, dovrà fare molti passi indietro.
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Nei prossimi giorni, quindi, ci presenteremo al Tavolo Comunale del PDL con il proposito di rinnovare contenuti e rappresentanti del centrodestra cittadino, forti della passione politica di nuovi soggetti capaci di rappresentare di bisogno radicale della società di cambiare modo di porsi nei confronti della collettività, uniti e compatti verso le sfide che ci attendono.
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Tutti gli iscritti di Alleanza Nazionale Circolo di Cittadella auspicano che il Popolo delle Libertà sia uno strumento per accomunare le assonanze di visione politica ed azione amministrativa del Centrodestra, come a livello nazionale avviene convintamente da anni e non permetteranno che il nuovo soggetto politico nasca con i sentimenti di odio per il nemico, perdendo l’opportunità di essere propositivi ed attivi nell’interesse dei Cittadellesi.
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IL DIRETTIVO DI ALLEANZA NAZIONALE CITTADELLA
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UNA SUPPOSTA EFFERVESCENTE: LA CURA ALL'ATTUALE CRISI ECONOMICA!


“[…] quello che tutti e’ principi savi debbono fare; li quali, non solamente hanno ad avere riguardo agli scandoli presenti, ma a’ futuri, e a quelli con ogni industria obviare; perché, prevedendosi discosto, facilmente vi si può rimediare; ma, aspettando che ti si appressino, la medicina non è a tempo, perché la malattia è divenuta incurabile”
(“Il Principe”, cap. III, Niccolò Machiavelli).


E’ inutile negarlo o, peggio, far finta di niente! Uno dei peggiori “scandoli presenti”, che desta preoccupazioni tanto ai governanti delle nazioni, quanto alla semplice massaia è l’attuale crisi economica. Iniziata in punta di piedi, quasi con discrezione, spacciandosi per una banale crisi finanziaria, apparentemente un grattacapo per i pochi addetti ai lavori o per chi, sfidando gli avversi numi, gioca d’azzardo in borsa, si è sviluppata acquisendo i lineamenti della crisi del sistema bancario e creditizio, dapprima americano ma successivamente mondiale. Eh già! E tale sviluppo ha portato alla metamorfosi di questa crisi, la quale, mio malgrado, ha mostrato a noi poveri mortali la sua vera identità: crisi del sistema economico. Mica pinzillacchere eh! Voglio dire. Non stiamo parlando di quotazioni borsistiche, indici finanziari, parametri di accesso al credito... o di tutto ciò che nell’immaginifico collettivo è visto con misteriosa diffidenza talvolta irriverente. Macchè! Stiamo parlando di domanda, consumi, di economia reale… quella con cui, tanto la massaia quanto il politico devono confrontarsi quotidianamente.

Ma che “c’azzecca” il Principe di Machiavelli con la crisi? - Prima di proseguire con la risposta, chiedo scusa all’avveduto lettore, il quale leggendo l’inciso virgolettato (che in quanto tale, come noto, non è mio e di cui non bramo rivendicar paternità), potrebbe aver avuto un improvviso sussulto viscerale… ma tant’è! Il principe savio, dovrebbe aver riguardo alle problematiche future che potrebbero attanagliare la propria collettività, e a queste tentar di porre rimedio con ogni accorgimento, cosicché riscontrando lo stesso eventualmente inefficace vi potrebbe rimediare senza troppo faticare. Ma aihmè, per quanto aguzzi la vista, fatico a scorgere nell’orizzonte politico, prìncipi savi… e così questa crisi ci è capitata “fra coppa e collo” in men che non si dica… ed eccola qui, come una putrida febbre, irriverente e sfacciatamente goliardica ad ogni terapia: sembra che, ormai, “la medicina non è a tempo, perché la malattia è divenuta incurabile” !!! Ma non disperiamo. Da quando il Machiavelli del 1500, per farsi bello agli occhi dei Medici, sfoggiava le proprie doti di esperto in scienza della politica, la Medicina ha fatto passi da gigante… perciò non disperiamo. Ma, sentiamo ancora un po’ cos’ha da dirci il nostro amico Niccolò.


“[…] nel principio del suo male (si fa riferimento al tisico, ndr), è facile a curare e difficile a conoscere, ma, nel progresso del tempo, non l’avendo in principio conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare. Così interviene nelle cose di fatto; perché, conoscendo discosto (il che non è dato se non a uno prudente) e’ mali che nascono in quello, si guariscono presto; ma quando, per non li avere conosciuti, si lasciono crescere in modo che ognuno li conosce, non vi è più rimedio”.


Cinquecento anni fa era noto che, sia in medicina che nelle cose di fatto, nel suo principio, un male è facile da curare, ma difficile da riconoscere; di contro, nel suo stadio avanzato, lo stesso è facile da riconoscere ma difficile da curare. Il problema è proprio questo: quali sono gli elementi che permettono al politico, “prudente”, di riconoscere un male? Quale politico avrebbe potuto prevedere la crisi e a questa “con ogni industria obviare” ? Qual è, oggi, il politico “prudente” , ovvero quello che ha riguardo agli “scandoli futuri” ? Il rispondere a queste domande è di fondamento ad ogni terapia e ad ogni politica! In tasca non ho l’identikit, o il manuale del bravo politico. Ma sono convinto che per differenziarsi dalla pletora di politici ed amministratori formato Ikea , da comporre all’occorrenza e secondo il design preferito, il politico vero debba essere espressione di un partito che, per usare una frase di un mio carissimo amico, “abbia veramente la sua anima nel popolo”. Chi, se non il popolo, da segnali e fornisce elementi sullo stato di salute della società civile? Chi, se non il popolo, può fornire elementi sullo sviluppo del tessuto economico di un paese? Credo pertanto che il radicamento nel territorio e nella società civile sia la condizione sine qua non per una buona politica. E questo radicamento lo si ha nel momento in cui è il popolo, attraverso meccanismi democratici e passaggi congressuali, a scegliere i propri rappresentanti…

Ma veniamo alla nostra crisi. Abbiamo sentito parlare di rilancio dell’economia, di spinta alla competitività del sistema, di ossigenazione del sistema bancario… ne abbiamo sentite proprio tante! Credo che il primo passo per uscire dalla crisi derivi proprio dal popolo, e dalle istituzioni ad esso più vicine: l’Ente Locale, il Comune! Da anni ormai questa Europa ci stressa con imposizioni e condizioni, le più disparte: quanto devono essere rossi o verdi i peperoni che compriamo al mercato, le quote latte, i quantitativi di pomodoro da produrre per ogni ettaro di terra, i tassi di cambio, i tassi di interesse interbancari…. E’ cosa arcinota no? E’ un’unione, quella Europea, nata dalle marginalità (dai peperoni, dalla moneta), ma che di culturale e politico non ha ancora nulla… E così tra le varie imposizioni c’è il c.d. patto di stabilità: per tentar di tenere sotto controllo la spesa pubblica, l’Unione impone degli obiettivi, dei limiti di spesa ad ogni stato membro. Con un meccanismo a cascata, e secondo l’autonomia e sovranità di ogni singolo stato, questo ultimo impone, a sua volta, dei “sotto-obiettivi” ad ogni singolo ramo della Pubblica Amministrazione: Sanità, Università, Ministeri, Regioni, Province, Comuni… Nulla di negativo, in linea di principio. Se non fosse per le modalità con cui i suddetti obiettivi vengono imposti ai Comuni. Innanzitutto, non vi è alcuna differenza tra comune e comune: tutti uguali, tutti gatti grigi, dal comune più grande (capoluogo di regione) al più piccolo. Il Comune di Milano è trattato alla stessa stregua del Comune di Cittadella… Nessuna caratteristica locale che venga presa in considerazione, nessuna peculiarità locale che venga rispettata…, insomma, nemmeno l’ombra del federalismo!!! Ma ancor più paradossale è che nel conteggio dei limiti di spesa, si considerano anche i pagamenti che il Comune deve fare in virtù di lavori già appaltati e di contratti stipulati nel passato… illogica la cosa, e priva di buon senso, in quanto lega scelte future a politiche del passato. Il paradosso sta nel fatto che un comune può trovarsi, se nel corso degli anni precedenti ha appaltato una moltitudine di lavori pubblici, a non poter, di fatto, rispettare i vincoli imposti dal patto di stabilità (a meno di vendersi i gioielli patrimoniali di famiglia)! Un comune che volesse rispettare il patto di stabilità potrebbe essere posto nelle condizioni di non onorare impegni contrattuali precedentemente assunti (bloccando i pagamenti), esponendosi anche ad eventuali azioni risarcitorie. Risultato: molti comuni, ad esempio dell’entroterra veneziano (e parlo per esperienza), con disponibilità di milioni di euro nelle proprie casse, sono costretti a tenerle congelate, bloccando o per lo meno tardando i pagamenti. E la contropartita qual è? Una moltitudine di piccole e medie imprese in sofferenza di liquidità, le quali a loro volta tarderanno ad onorare gli impegni assunti con propri fornitori, i quali, con penuria di denaro liquido, accrediteranno gli stipendi dei loro dipendenti sempre più avanti, i quali ….. i quali …….. CRISI!!! Eh già. Sono proprio convinto che il primo passo per uscire dalla crisi derivi dal popolo e dalle istituzioni ad esso più vicine. Caspita!!! Liberiamo i comuni dai vincoli del patto di stabilità, ed una iniezione di ossigeno al sistema economico è garantita. E sappiamo bene su cosa si fonda il sistema di sviluppo economico del Nord-Est. Sulla forza della media e piccola impresa, e sull’impresa famigliare… e guarda un po’, quelle le cui sorti sono maggiormente vincolate all’Ente locale.
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Probabilmente (ma non credo, se non altro per un po’ di sana presunzione) ho proposto una soluzione formato Ikea che non va bene. Ma se è così, qualcuno si sbrighi a trovar la medicina giusta prima che la stessa “non è a tempo, perché la malattia è divenuta incurabile”, altrimenti va bene la mia di medicina, ancorché considerata una fastidiosa supposta effervescente!

IL PRINCIPE