LE DUE VELOCITA'


SI PARLA DI POLITICA, NAZIONALE O LOCALE, IN
MANIERA SATIRICA O SERIOSA.
SI CERCA DI NON
OFFENDERE NESSUNO E SE CAPITA CE NE SCUSIAMO SIN DA SUBITO.

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venerdì 9 gennaio 2009

UNA SUPPOSTA EFFERVESCENTE: LA CURA ALL'ATTUALE CRISI ECONOMICA!


“[…] quello che tutti e’ principi savi debbono fare; li quali, non solamente hanno ad avere riguardo agli scandoli presenti, ma a’ futuri, e a quelli con ogni industria obviare; perché, prevedendosi discosto, facilmente vi si può rimediare; ma, aspettando che ti si appressino, la medicina non è a tempo, perché la malattia è divenuta incurabile”
(“Il Principe”, cap. III, Niccolò Machiavelli).


E’ inutile negarlo o, peggio, far finta di niente! Uno dei peggiori “scandoli presenti”, che desta preoccupazioni tanto ai governanti delle nazioni, quanto alla semplice massaia è l’attuale crisi economica. Iniziata in punta di piedi, quasi con discrezione, spacciandosi per una banale crisi finanziaria, apparentemente un grattacapo per i pochi addetti ai lavori o per chi, sfidando gli avversi numi, gioca d’azzardo in borsa, si è sviluppata acquisendo i lineamenti della crisi del sistema bancario e creditizio, dapprima americano ma successivamente mondiale. Eh già! E tale sviluppo ha portato alla metamorfosi di questa crisi, la quale, mio malgrado, ha mostrato a noi poveri mortali la sua vera identità: crisi del sistema economico. Mica pinzillacchere eh! Voglio dire. Non stiamo parlando di quotazioni borsistiche, indici finanziari, parametri di accesso al credito... o di tutto ciò che nell’immaginifico collettivo è visto con misteriosa diffidenza talvolta irriverente. Macchè! Stiamo parlando di domanda, consumi, di economia reale… quella con cui, tanto la massaia quanto il politico devono confrontarsi quotidianamente.

Ma che “c’azzecca” il Principe di Machiavelli con la crisi? - Prima di proseguire con la risposta, chiedo scusa all’avveduto lettore, il quale leggendo l’inciso virgolettato (che in quanto tale, come noto, non è mio e di cui non bramo rivendicar paternità), potrebbe aver avuto un improvviso sussulto viscerale… ma tant’è! Il principe savio, dovrebbe aver riguardo alle problematiche future che potrebbero attanagliare la propria collettività, e a queste tentar di porre rimedio con ogni accorgimento, cosicché riscontrando lo stesso eventualmente inefficace vi potrebbe rimediare senza troppo faticare. Ma aihmè, per quanto aguzzi la vista, fatico a scorgere nell’orizzonte politico, prìncipi savi… e così questa crisi ci è capitata “fra coppa e collo” in men che non si dica… ed eccola qui, come una putrida febbre, irriverente e sfacciatamente goliardica ad ogni terapia: sembra che, ormai, “la medicina non è a tempo, perché la malattia è divenuta incurabile” !!! Ma non disperiamo. Da quando il Machiavelli del 1500, per farsi bello agli occhi dei Medici, sfoggiava le proprie doti di esperto in scienza della politica, la Medicina ha fatto passi da gigante… perciò non disperiamo. Ma, sentiamo ancora un po’ cos’ha da dirci il nostro amico Niccolò.


“[…] nel principio del suo male (si fa riferimento al tisico, ndr), è facile a curare e difficile a conoscere, ma, nel progresso del tempo, non l’avendo in principio conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare. Così interviene nelle cose di fatto; perché, conoscendo discosto (il che non è dato se non a uno prudente) e’ mali che nascono in quello, si guariscono presto; ma quando, per non li avere conosciuti, si lasciono crescere in modo che ognuno li conosce, non vi è più rimedio”.


Cinquecento anni fa era noto che, sia in medicina che nelle cose di fatto, nel suo principio, un male è facile da curare, ma difficile da riconoscere; di contro, nel suo stadio avanzato, lo stesso è facile da riconoscere ma difficile da curare. Il problema è proprio questo: quali sono gli elementi che permettono al politico, “prudente”, di riconoscere un male? Quale politico avrebbe potuto prevedere la crisi e a questa “con ogni industria obviare” ? Qual è, oggi, il politico “prudente” , ovvero quello che ha riguardo agli “scandoli futuri” ? Il rispondere a queste domande è di fondamento ad ogni terapia e ad ogni politica! In tasca non ho l’identikit, o il manuale del bravo politico. Ma sono convinto che per differenziarsi dalla pletora di politici ed amministratori formato Ikea , da comporre all’occorrenza e secondo il design preferito, il politico vero debba essere espressione di un partito che, per usare una frase di un mio carissimo amico, “abbia veramente la sua anima nel popolo”. Chi, se non il popolo, da segnali e fornisce elementi sullo stato di salute della società civile? Chi, se non il popolo, può fornire elementi sullo sviluppo del tessuto economico di un paese? Credo pertanto che il radicamento nel territorio e nella società civile sia la condizione sine qua non per una buona politica. E questo radicamento lo si ha nel momento in cui è il popolo, attraverso meccanismi democratici e passaggi congressuali, a scegliere i propri rappresentanti…

Ma veniamo alla nostra crisi. Abbiamo sentito parlare di rilancio dell’economia, di spinta alla competitività del sistema, di ossigenazione del sistema bancario… ne abbiamo sentite proprio tante! Credo che il primo passo per uscire dalla crisi derivi proprio dal popolo, e dalle istituzioni ad esso più vicine: l’Ente Locale, il Comune! Da anni ormai questa Europa ci stressa con imposizioni e condizioni, le più disparte: quanto devono essere rossi o verdi i peperoni che compriamo al mercato, le quote latte, i quantitativi di pomodoro da produrre per ogni ettaro di terra, i tassi di cambio, i tassi di interesse interbancari…. E’ cosa arcinota no? E’ un’unione, quella Europea, nata dalle marginalità (dai peperoni, dalla moneta), ma che di culturale e politico non ha ancora nulla… E così tra le varie imposizioni c’è il c.d. patto di stabilità: per tentar di tenere sotto controllo la spesa pubblica, l’Unione impone degli obiettivi, dei limiti di spesa ad ogni stato membro. Con un meccanismo a cascata, e secondo l’autonomia e sovranità di ogni singolo stato, questo ultimo impone, a sua volta, dei “sotto-obiettivi” ad ogni singolo ramo della Pubblica Amministrazione: Sanità, Università, Ministeri, Regioni, Province, Comuni… Nulla di negativo, in linea di principio. Se non fosse per le modalità con cui i suddetti obiettivi vengono imposti ai Comuni. Innanzitutto, non vi è alcuna differenza tra comune e comune: tutti uguali, tutti gatti grigi, dal comune più grande (capoluogo di regione) al più piccolo. Il Comune di Milano è trattato alla stessa stregua del Comune di Cittadella… Nessuna caratteristica locale che venga presa in considerazione, nessuna peculiarità locale che venga rispettata…, insomma, nemmeno l’ombra del federalismo!!! Ma ancor più paradossale è che nel conteggio dei limiti di spesa, si considerano anche i pagamenti che il Comune deve fare in virtù di lavori già appaltati e di contratti stipulati nel passato… illogica la cosa, e priva di buon senso, in quanto lega scelte future a politiche del passato. Il paradosso sta nel fatto che un comune può trovarsi, se nel corso degli anni precedenti ha appaltato una moltitudine di lavori pubblici, a non poter, di fatto, rispettare i vincoli imposti dal patto di stabilità (a meno di vendersi i gioielli patrimoniali di famiglia)! Un comune che volesse rispettare il patto di stabilità potrebbe essere posto nelle condizioni di non onorare impegni contrattuali precedentemente assunti (bloccando i pagamenti), esponendosi anche ad eventuali azioni risarcitorie. Risultato: molti comuni, ad esempio dell’entroterra veneziano (e parlo per esperienza), con disponibilità di milioni di euro nelle proprie casse, sono costretti a tenerle congelate, bloccando o per lo meno tardando i pagamenti. E la contropartita qual è? Una moltitudine di piccole e medie imprese in sofferenza di liquidità, le quali a loro volta tarderanno ad onorare gli impegni assunti con propri fornitori, i quali, con penuria di denaro liquido, accrediteranno gli stipendi dei loro dipendenti sempre più avanti, i quali ….. i quali …….. CRISI!!! Eh già. Sono proprio convinto che il primo passo per uscire dalla crisi derivi dal popolo e dalle istituzioni ad esso più vicine. Caspita!!! Liberiamo i comuni dai vincoli del patto di stabilità, ed una iniezione di ossigeno al sistema economico è garantita. E sappiamo bene su cosa si fonda il sistema di sviluppo economico del Nord-Est. Sulla forza della media e piccola impresa, e sull’impresa famigliare… e guarda un po’, quelle le cui sorti sono maggiormente vincolate all’Ente locale.
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Probabilmente (ma non credo, se non altro per un po’ di sana presunzione) ho proposto una soluzione formato Ikea che non va bene. Ma se è così, qualcuno si sbrighi a trovar la medicina giusta prima che la stessa “non è a tempo, perché la malattia è divenuta incurabile”, altrimenti va bene la mia di medicina, ancorché considerata una fastidiosa supposta effervescente!

IL PRINCIPE